Un amico di Midance, tra pioggia e desolazione, ha svelato il dramma di Cannes 2024: un evento secondo lui con poca affluenza, proiettato verso un 2025 “non pervenuto”. Artisti francesi in primo piano, ma poche presenze, zero business. “Si va lì per una birra, un saluto, non per fare affari”, dice. Parlando con italiani e internazionali, emerge un dato unanime: il settore è allo sbando. Cali del 90%, nessuno incolpa più distributori o “capri espiatori”: la consapevolezza è chiara. La qualità musicale non basta più, servono standard elevati e marketing aggressivo. Non si cerca la hit, ma la sopravvivenza: meno tracce, più cura (AI o no), e l’ammissione che il mercato è controllato dai DSP (Digital Service Provider).

Da lì, tutto parte. Gli artisti? Ora sono imprenditori di se stessi: si autopubblicano, promuovono su Bandcamp, costruiscono fanbase dirette, vendono mp3, streaming e vinili senza intermediari. Le demo? Sparite. Intanto, Germania e Olanda resistono con sound specifici e alleanze tra label come Kontor, Armada e Happy Music X, mentre altri generi sopravvivono tramite circuiti fisici e YouTube. La svolta? Molti abbandonano Spotify e Amazon, preferendo YouTube CSM per i flussi monetizzati. Alle fiere, si preferisce ADE e IMS, mentre le sync non cercano più intermediari: ogni artista crea la sua library online, vendendo micro-licenze. Il messaggio è chiaro: chi non si adatta, affonda. E il futuro? Sarà scritto da algoritmi, superfan e autoproduzione.