Lui è quello di “If Everybody in the World”, “Soulreply”, “Pure Immagination”, “Baby Beat Box”. Ed è anche quello di “Working Club Class Hero”, il suo ultimo album. Stefano Fontana (nella foto principale tratta dalla sua pagina Facebook), per i cultori della musica elettronica Stylophonic, dj, produttore, clubber, ex giudice del talent Top DJ su Sky, protagonista a Sanremo grazie a una gaffe di Michelle Hunziker. La conduttrice del Festival, dopo aver chiesto chi fosse il dj, si è andata con quesiti legati a un possibile “revival?”. Ma Stefano è stato elegante precisando che lui all’appuntamento avrebbe suonato solo “discomusic moderna”.
Disciplina, curiosità , costanza e zero paura di provare idee nuove: questo è il suo motto, destinato alle nuove leve. Ha ritrovato una serenità interiore e una voglia di fare invidiabili: quelle che aveva quando realizzò le sue “piccole hit. Oggi Stefano Fontana è come se avvertisse di essere “pronto per qualcosa di nuovo, di bello, e non necessariamente gigante”. E quando Stefano riascolta il suo nuovo album, che uscirà in autunno, ne pensa bene. Come disse a DJ Mag Italia mesi fa, questa è “una sensazione piacevole, questa, che vorrei condividere con la gente, se sarà possibile con i miei 46 anni”. A Stefano piace il pop e tutto quello che è in continua evoluzione, il suono moderno e figlio della ricerca, “quello che i dj hanno sempre sottomano perché sono i primi e gli stessi a crearlo”.
La gente parla tanto di ghost producing: ma non è una cosa sempre esistita?
“Non ne sono così sicuro. Nella mia esperienza in studio ho notato che veniva sempre riconosciuto a chiunque il proprio contributo con un credito nel disco, non ho mai conosciuto dei… ghost producer. Probabilmente oggi la filiera ha bisogno per via della velocità del mercato, dell’impostazione del business di un artista che abbia questo tipo di figura che per diversi motivi preferisce lavorare dietro le quinte e spesso non essere citato nei crediti. A me non piace come modus operandi: trovo più corretto condividere sempre laddove succede”.
Che differenza c’è tra Stylophonic e Stefano Fontana?
“Stylophonic è un progetto che nasce all’inizio del 2000, è un mio alter ego che uso per produrre musica elettronica senza nessun tipo di condizionamento. Voglio dire: in ogni disco c’è sempre stato un cambiamento di sound e direzione proprio perché è nella natura del progetto, è più un processo da producer che solo da dj; mentre come Stefano Fontana ho fatto poche produzioni che però, al contrario di Stylophonic, sono legate in modo univoco più al suono dei mei dj set, quindi qualcosa a cavallo tra la house e la tech house con influenze black. Alcune volte le produzioni di Stylophonic combaciano al 100 per cento con quello che io suono nei dj set, altre volte meno”.
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Gepostet von Stylophonic am Donnerstag, 8. Februar 2018
Fin dall’inizio della tua attività, quando hai scoperto la passione per la musica, ti era ben chiaro che saresti dovuto andare oltre un paio di giradischi e un mixer.
“E ho preso anche un computer con dei synth, delle drum machine, quindi ho iniziato a costruirmi il mio mini studio già a 18 anni, per poi ampliarlo in seguito con tutti gli analogici del mondo per poi rivenderli tutti in un momento di crisi artistica e di seguito, come un pirla, ricomprare quelli a mio parere fondamentali”.
Cos’è Sound Identity?
“Sound Identity è la prima agenzia di sound branding in Italia. Io e il mio team esploriamo le connessione create dal suono a livello emotivo, mentale e comportamentale e di come queste possono essere implementate ed adoperate dai marchi nelle loro attività e touchpoint e quindi abbiamo individuato l’esigenza di mercato di offrire progetti e contenuti di comunicazione basati su un uso strategico della musica e del suono”.
Come avete creato questo hub di studi di registrazione?
“Per comodità, volevo avere il mio studio personale di fianco allo studio di Sound Identity dove lavora con me Mattia Cerri, un giovane talento a livello musicale e produttivo, e quindi siamo andati alla ricerca di una struttura che avesse la possibilità di ospitare le nostre realtà.
Quali sono i pro e i contro di lavorare uno a fianco dell’altro, cioè uno studio confinante con l’altro?
“Se sono ben isolate ci sono solo pro. Possiamo confrontarci sui progetti in modalità live, scambiarci opinioni, interagire, insomma lavoriamo in modo inclusivo e non esclusivo quindi la vicinanza accelera e aiuta questa modalità”.
Ti piace il confronto con i giovani?
“Il termine giovane ha poco valore per me, ci sono dei ventenni già anziani e dei sessantenni che ti spettinano per la loro dinamicità e curiosità; detto ciò, adoro condividere la mia esperienza con chi è interessato ad ascoltarla, è sempre emozionante ed utile il confronto ma la parola insegnamento dal mio punto di vista necessita di un talento che io non ho o forse non l’ho ancora colto perché sono ancora alla ricerca e desideroso di fare l’alunno e non il maestro”.
Gli studi dove hai realizzato i tuoi primi due album li hai sonorizzati tu?
“Sì. Dopodiché ho sempre affittato studi che erano già stati insonorizzati, quest’ultimi sono stati curati da Marco Barusso, un super ingegnere del suono; invece, quello precedente fu curato da Dario Paini, un mega tecnico molto preparato nell’acustica”.
Hai passato varie fasi, come produttore: sei nato… analogico?
“Sono nato con tutti i synth e le batterie elettroniche del mondo collegate via midi al Mac guidato da Logic. Dopo circa 20 anni ho voluto mettermi in difficoltà per poter ripartire e ridare slancio al momento creativo cambiando totalmente setup: sono passato a Ableton Live integrando molto la parte software, e dopo un po’ di sperimentazioni ho trovato il giusto balance tra analogico e digitale, sempre controllato al 100% da quest’ultima DAW”.
Qual è il produttore che ti piace di più in Italia?
“Stefano Ritteri, Phra, Bot, Rivastarr, DJ Tennis, Lele Sacchi, Parker Madicine aka Diego Montinaro, Spiller, Mace, Davide Squillace, Pastaboys, Clap Clap, Federico Grazzini, Romano Alfieri, Doomwork, Paolo Martini e Benny Benassi, anche se produciamo un suono molto diverso. Ma Benny è un mito”.
E nel mondo?
“Duke Dumont, Catz ‘n’Dogz, Rudimental, Claude Vonstroke, Aereoplane, Pezzner, Cassius, Daft Punk, The Chemical Brothers , Hifi Sean, Hotlike Detroit, Jamie Jones, Josh Wink, Musik For Freaks, Paul Woolford, Wax Work, Aphex Twin, Drake, Arcade Fire, John Opkins, Mouse Of Mars, Reboot,Radio Slave, Martin Buttrich, Tiga, Mathew Jonson, Mousse T, Master At Work, Kink e ovviamente tutti i producer di Detroit, Chicago e New York della vecchia scuola house e techno”.
Hai pronto un nuovo album: come è nato, quando uscirà e quali difficoltà hai incontrato a realizzarlo?
“È nato prima di tutto da una forte spinta ed esigenza personale di voler creare musica, come tutti i dischi che ho prodotto. Avevo in mente da tempo di produrre un disco che raccogliesse tutto il sound del periodo a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta di New York, quindi il suono della Prelude principalmente miscelato alle sonorità house di adesso sotto forma di canzone, e quindi l’ho fatto. Le difficoltà sono sempre legate alla creatività ma non le chiamerei difficoltà: semplicemente momenti che fanno parte di un iter creativo. L’unica vera difficoltà è riuscire a conciliare tutte le attività che ruotano attorno alla mia vita professionale e privata in modo coerente. Si può ovviare a questo problema-difficoltà con la disciplina, la grande qualità per emergere in ogni campo artistico e professionale. Inizieranno a uscire alcuni singoli a partire da quest’estate e continuerà così per diversi mesi costruendo un percorso musicale e visivo che spero piacerà. Noi ce la stiamo mettendo tutta e siamo super entusiasti”.
L’hai registrato da te e mixato negli Usa? Come hai organizzato la produzione?
“Ho iniziato a produrre le basi da me a Milano e poi sono andato diverse volte a New York a registrare con topliner e con diversi cantanti finché ho trovato Kena, un ragazzo fantastico con cui ho iniziato a lavorare su tutto il disco in maniera furiosa e molto empatica; ha cantato tutti i brani del disco. Il disco l’ho mixato al Bass Hit Studio dove i Master At Work hanno prodotto e mixato tutte le loro hit dal 1990 fino a metà dei Duemila. Dave Darlington ha mixato il disco dandogli quella sonorità newyorkese ben definita che volevo. Lui è un genio assoluto, una persona che mi ha insegnato molto e che ha inventato il suono house della Grande Mela. Ha mixato anche per Tood Terry, Technotronic, Adeva, Roger Sanchez, Basement Jaxx, Bob Sinclar fino ad arrivare a Sting e a tanti altri”.
Sacrificio, volontà, costanza e dedizione bastano per lavorare bene al giorno d’oggi?
“È un momento difficile per riuscire a fare quadrare i conti con la musica soprattutto per chi è in una fase iniziale ma è anche un ottimo momento per la musica e per esprimere la propria creatività, tante barriere sono state abbattute quindi vincerà e rimarrà a galla che più se lo merita e/o chi avrà più coraggio e forza. Un po’ come la vita d’altronde, no?”.
Nel 2017 si fa ancora sound design? Si sperimenta ancora?
“Certo. Sempre di più la musica verrà utilizzata nell’ambito della comunicazione come strumento per veicolare valori nell’ambito di operazioni di marketing da parte dei brand oppure nell’ambito artistico in progetti multimediali”.
Lavori molto nel campo della moda: cosa porta questo in fase di creazione in studio? Influisce molto?
“L’aspetto molto interessante è la collaborazione con gli stilisti e le persone che lavorano nel marketing. Sono persone molto stimolanti e creative che danno degli input molto severi e precisi, quindi la creatività in studio è guidata da un pensiero esterno che noi dobbiamo seguire, tradurre ed arricchire con idee che si sposano con l’idea del brand. È un ottimo esercizio intellettuale e creativo”.
Ami i synth e le drum machine: perché?
“Hanno un suono unico, caldo che nello spettro del suono si fa sentire di più. Inoltre, spesso ti mettono in condizione di lavorare in una modalità diversa rispetto ai virtual instrument: non migliore o peggiore, solo diversa che si integra bene con la parte digitale”.
Hai un metodo di lavorazione consueto?
“Tutto è molto random, magari parto da un suono del Minimoog e poi mi concentro sul beat o viceversa; lavoro più sulle armonie e/o sulla definizione del suono più importante del pezzo che di solito è quasi sempre il basso”.
Se hai pronto un album, cosa stai facendo ora nel tuo studio?
“Buttando giù nuovi pezzi o idee per future collaborazioni, ascoltando molta molta molta musica e lavorando su alcune consulenze molto interessanti con dei brand di moda”.
Quali sono i tuoi collaboratori?
“Lavoro molto con Mattia Cerri soprattutto per Sound Identity. È un sound designer e producer molto bravo con cui ho un ottimo feeling: ha iniziato sei anni fa a lavorare per noi e ha fatto grandi progressi sia dal punto di vista tecnico che di scrittura. Per quanto riguarda le produzioni tendenzialmente lavoro solo oppure mi avvalgo della collaborazione di Claudio Vittori, uno dei più grandi artisti contemporanei di musica elettronica”.
Hai dei maestri, o comunque dei riferimenti, in fatto di professionalità nello studio recording?
“Certo, per diversi motivi che vanno dalla disciplina di lavoro, alla creatività, tecnica e ‘cattiveria’ direi Roberto Baldi, Pino Pischetola, Saturnino, Lorenzo ‘Jova’, Dave Darlington, Tom Rowland, Simone Giuliani, Fabrizio Sotti, Philippe Zdar, Michele Canova, Mace, Phra e Bot e Benny Benassi e suo cugino Ale”.
Chi cura il mastering delle tue tracce?
“Mi affido a diversi collaboratori e strutture estere. Oppure da italiani come Tommy Bianchi. L’ultimo disco che ho prodotto come Stylophonic lo ha masterizzato Dave Darlington”.