“Non solo sviluppare una propria identità sonora forte ma anche esprimersi attraverso la musica. Cercare di imitare i suoni di altri produttori è la cosa più sbagliata del mondo perché già ci sono loro che lo fanno bene e sono conosciuti dalla massa. Quindi è fondamentale trovare la chiave giusta per proporre cose nuove”, dice Bruno Oggioni, noto come Dr. Shiver. “Non dico che questa sia la strada più facile perché è sicuramente la più difficile da prendere. Dico però che è l’unica vera strada per avere una possibilità concreta”.
Come sei arrivato, l’anno scorso, a suonare al Tomorrowland?
“Nel 2015 avevo fatto il primo remix ufficiale di ‘You Got The Love’ con il vocal originale del 1986 di Candi Staton. Prima di me quel brano lo aveva remixato ufficialmente solo Frankie Knucles. La traccia è andata alla grande e un bel giorno ho ricevuto una richiesta per email da uno degli organizzatori di Tomorrowland: aveva sentito il mio remix e gli era piaciuto al punto da chiedermi di poterlo usare come colonna sonora dell’aftermovie dell’ultimo Tomorroworld. Io, ben contento e lusingato dalla proposta, ho accettato e da li si è instaurato un rapporto lavorativo e di amicizia con questa persona che mi ha sempre sostenuto e introdotto al team di Tomorrowland che quest’anno mi ha inviato a suonare lì”.
Arrivi dalla musica classica e dalla black music. Sei nato come pianista prima ancora di iniziare a produrre.
“Quando mi metto davanti alla DAW faccio semplicemente ciò che sento. Spazio dall’EDM, alla electro alla progressive, alla house, alla musica pop. Tutto ciò che in quel preciso momento mi rappresenta lo faccio. Ovviamente lavoro principalmente su produzioni più club ma, come detto, lavoro anche su un sacco di altri generi”.
È un errore comune prendere riferimento da altri artisti e cercare di ricreare un suono simile?
“Sì, è madornale, come spiegavo prima. Oggi faccio ciò che sento quindi il mio sound nasce dal puro insistito. Poi ci sono delle cose più studiate per dare connessione alle varie produzioni che faccio, come riverberi, delay ed effetti sempre uguali su ogni traccia per fare un esempio. Ma sono tutte piccolezze, tecnicismi. Sicuramente non mi metto a riutilizzare lo stesso giro o lo stesso suono. Trovo questa strategia un semplice modo per nascondersi. ‘Sai, è la mia sound identity, per quello suonano tutti simili i miei dischi’: cazzate. Quella frase la interpreto sempre come ‘non ho inventiva a sufficienza per fare cose nuove, non sono sicuro di essere in grado di fare di meglio’. Guarda tutti gli artisti veramente grandi. Ray Charles, Stevie Wonder, per andare proprio sul classico: hanno sempre spaziato, mai riproposto la stessa cosa”.
Quali sono i tuoi collaboratori oggi?
“Ho un ottimo team che lavora con me in Art&Music Recording (la mia etichetta e studio di incisione). Sono convinto difatti che senza lavoro di squadra, soprattutto oggi giorno, sia impossibile fare la differenza. Troppe cose da gestire. Così, in Art&Music Recording siamo in diversi e tutti lavoriamo sodo per raggiungere degli obietti comuni: dalla parte di produzione con arrangiatori, fonici, sound designer, artisti, grafici e video maker e in ufficio con social media manager, assistente di produzione e promo manager. Da non sottovalutare poi le varie agenzie che fanno promozione ai nostri brani, i booker e le etichette con cui lavoriamo sempre che prendono in licenza ciò che viene creato qui”.
Cosa pensi della nuova leva di produttori dance nel mondo?
“Ci sono diversi produttori talentuosi, questo è indubbio. Vedo però che scarseggia molto la cultura musicale. Tutti super ferrati sulla musica contemporanea ma poco informati su ciò che c’era prima. Questa è una cosa molto grave a mio avviso: la musica continua a vivere, crescere, svilupparsi ed evolversi grazie alla contaminazione. Se non siamo quindi a conoscenza di come la musica si è evoluta, di cosa ha funzionato prima, dei grandi artisti che hanno fatto la storia, abbiamo poche possibilità di creare cose nuove: nulla nasce dal nulla. Altro problema è quindi dato dalle migliaia e migliaia di bedroom producer. Alcuni sono realmente dei portenti ma la maggior parte intasano solo il mercato con cloni di cose che già esistono o prodotti di basso livello. Se si vuole fare la differenza, bisogna realmente cercare di creare un prodotto unico e fresco”.
Che consiglio daresti ai giovani aspiranti produttori?
“Diversi, a dire il vero: di non arrendersi ai primi ostacoli. Di restare sempre umili: l’arroganza non è un buon alleato. Dobbiamo invece conoscere i nostri limiti, cosa fondamentale per poterli superare e fare meglio. Di non copiare quello che già esiste creando sempre cose nuove. Di seguire il nostro istinto e le nostre orecchie ma allo stesso tempo di farci guidare da chi ha più conoscenza o esperienza di noi. Di imparare a lavorare in squadra. Questi sono a mio avviso gli ingredienti fondamentali per avere delle concrete possibilità di fare la differenza”.
Come sottoporti un’idea e ambire a una collaborazione con te?
“Nulla di più facile, basta mandare una demo con link privato di soundcloud a dr@drshiver.com. Sono sempre attento e ascolto tutto ciò che arriva. La cosa può richiedere tempo perché sono realmente tante le demo che arrivano ogni giorno ma prima o poi rispondo sempre, sia per accettare la traccia che per respingerla. Se posso aiutare i giovani produttori lo faccio con piacere e, quando richiesto, sono ben lieto di dare suggerimenti e condividere trucchi”.
Come è cambiata la tua vita negli ultimi anni?
“Direi sempre in meglio. Quando vedi che le fatiche che fai e le energie che impieghi iniziano a dare i propri frutti e risultati non puoi che essere felice. E non parlo solo della mia carriera personale come Dr. Shiver, ma anche di tutto ciò che stiamo facendo con Art&Music Recording, i nostri artisti ed il nostro meraviglioso team”.
Prepari sempre una selezione che reputi più adatta al luogo e al momento?
“Sì, però non creo un playlist. Quando sono sullo stage ‘navigo’ tra i contenuti delle mie chiavette usb e mi faccio guidare dal momento e dalla pista”.
Quali dj produttori italiani conosci e ti piacciono?
“Penso ci siano diversi produttori italiani che stanno facendo bene. Benny Benassi sicuramente occupa la prima posizione e per altro da diverso tempo. Poi ci sono Simo De Jano, Merk & Kremont, Lush & Simon, Angemi, i Jegers, Havock & Lawn (che ho avuto il piacere di lanciare con il loro primo disco uscito su Art&Music Recording qualche anno fa)”.
Cosa può sostituire la big room nei festival EDM? Come immagini il suono dei festival, tra una decina di anni?
“Penso che tutti i generi che stanno nascendo e che recentemente sono nati, come la progressive, l’electro, la trap e chi più ne ha più ne metta, siano delle bolle di sapone destinate a non avere lunga vita. Nel futuro club sicuramente vedo la house music predominare (ovviamente tra 10 anni sarà dovutamente aggiornata con i tempi). A livello festival probabilmente sempre l’house music ma, chi può dirlo? Quando hanno fatto Woodstock avresti mai detto che non ci sarebbero stati più eventi simili? La stessa cosa vale oggi, quindi fare una previsione è alquanto complesso”.